Il tempo passa ed anche se alcuni segnali e alcuni numeri sembrano aprire ad una schiarita e si parla insistentemente di aprire, l’impressione è quella di essere ancora nel mezzo del guado; ancora lontani da una soluzione positiva della situazione drammatica in cui questa epidemia ci ha trascinato; l’isolamento, la distanza, l’impossibilità di incontrarci, soprattutto per le persone e le famiglie che stanno sopportando la fatica e la prova della malattia o addirittura della perdita di una persona cara, stanno facendo sentire tutto il loro peso e la stanchezza che sembrano a volte addirittura insopportabili.
Quanto è triste quello che sta avvenendo in questi giorni presso il cimitero dove vengono accompagnate per la “sepoltura” le salme o le ceneri delle persone del nostro paese che ci hanno lasciato; pochi familiari presenti e distanziati, un breve rito di benedizione e congedo nella preghiera e la deposizione della bara o dell’urna nel posto predisposto; questa tremenda tragedia che stiamo vivendo ci priva anche della possibilità di un ultimo abbraccio, di un ultimo saluto, quasi che tutto debba svolgersi in fretta perché il demone del virus ci minaccia.
La domanda per noi credenti che ritorna dentro questa situazione drammatica e che non dovremmo lasciar perdere neppure quando tutto questo sarà passato (speriamo presto), è sempre un po’ la stessa: a che cosa serve la nostra fede?
Perché “pregare” oltre che per chiedere aiuto?
È una domanda che risuona davanti a tutti noi, tutti siamo chiamati a dare una risposta, che non può essere né l’indifferenza, né lo stordimento o lo sconforto.
Questa “domanda” ci aiuta a pregare, ad intravedere nella nebbia dell’incertezza e della fragilità l’attesa di una speranza; non dobbiamo perdere la speranza.
Ma come si fa a non perdere la speranza in questa situazione?
La speranza non si perdere se si è responsabili verso gli altri; non bisogna lasciare soli i malati, anche se lontani e sottratti alla nostra vista, ma bisogna pregare per loro e per chi muore; pregare per le famiglie: è l’esercizio dell’amore fraterno nella carità, che non quantifica la vicinanza in centimetri, perché l’amore e la preghiera resistono a tutte le lontananze e le perturbazioni.
Dobbiamo essere comunità, tornarlo ad esserlo se ci siamo un po’ dispersi, paradossalmente proprio in questa situazione di separazione e di isolamento; dobbiamo imparare dalla comunità dei cristiani dei primi secoli, quando di fronte alle epidemie, i pagani fuggivano, ma i cristiani resistevano, non si disperavano, stavano in mezzo ai sofferenti ad esercitare la carità; può essere questo un segno dei tempi, un tempo di risveglio per i credenti.
Il vangelo della domenica che ci sta davanti (la III domenica di Pasqua) ci dice che Gesù, il Risorto, è accanto a noi, cammina con noi, come con i discepoli di Emmaus, anche se noi non lo riconosciamo, stravolti come siamo dalla fatica e dalla sofferenza della “prova”; dobbiamo lasciarci prendere per mano da Lui, lasciarci illuminare dalla sua Parola, perché anche i nostri occhi si aprano, il nostro cuore si infiammi, e lo possiamo riconoscere “allo spezzare del pane”, anche se non possiamo in questo periodo nutrirci sacramentalmente di questo Pane.
Domenica ricorre anche la festa del Prodigio presso il nostro Santuario della Madonna del Castello, non potremo celebrarlo con la solennità che merita, ma siamo certi che Maria avrà per ciascuno di noi e per tutta la nostra Comunità uno sguardo particolare e non ci lascerà mancare, soprattutto per chi sta soffrendo maggiormente a causa di questa epidemia, la sua carezza materna.
Lunedì 27 aprile sarà inoltre il trigesimo della morte di don Angelo Bernini, anche lui travolto da questo terribile morbo; dal Cielo non tralascerà di presentare alla Madre una invocazione di protezione e sostegno per la nostra Comunità Parrocchiale. Un caloroso saluto e un abbraccio fraterno.
Con i sacerdoti della Parrocchia, il Vostro parroco
Don Mario